Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Il D.L. 20 giugno 2012 n. 79. Che fare?
La vicenda del D.L. 20 giugno 2012 n. 79, convertito con la L. 7 agosto 2012 n. 131 è stata penosa.
Già abbiamo visto come l’articolo 1, scaturito dal Ministero, fosse squallido per il fatto di aver cercato di ripristinare controlli tipo catalogo, in contrasto con le indicazioni europee, per aver ignorato ogni misura di tutela giuridica del cittadino, per essersi preoccupata solo degli esportatori italiani e non di chi le armi le deve importare; anche questo un protezionismo assurdo di chi non vuol capire che siamo in Europa.
In sede di conversione in legge del Decreto, gli onorevoli Nedo Lorenzo Poli (UDC) e Carlo Nola (PDL), sollecitati dall’armiere Bruno Biscuso, si prestavano a presentare delle proposte di emendamento, abbastanza articolate (per quanto consentivano i ridotti spazi di manovra dello schema proposto), sia per il riconoscimento delle armi comuni che di quelle sportive. Il Governo capiva che il testo del Decreto non andava, ma ovviamente sui nuovi testi proposti chiedeva il parere del Ministero dell’Interno e altrettanto ovviamente il ministero non li gradiva affatto.
Nel frattempo l’ANPAM, (a quanto pare) faceva proporre dal Ministero questo nuovo testo:
1. All'articolo 11, secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Ai fini di quanto previsto dal primo periodo del presente comma, il Banco Nazionale di prova verifica, altresì, la qualità di arma comune da sparo ai sensi della vigente normativa, anche in relazione alla dichiarazione del possesso di tale qualità resa dall'interessato, contenente anche la categoria di appartenenza dell'arma ai sensi della normativa comunitaria. Qualora sussistano dubbi sulla natura di armi comuni da sparo degli esemplari presentati il Banco può chiedere un parere al Ministero dell’interno. Le armi catalogate ai sensi dell'abrogato articolo 7 e gli esemplari ad esse analoghi non necessitano della verifica della qualità di arma comune da sparo.».
2. Le armi prodotte, assemblate o introdotte nello Stato ed autorizzate dalle competenti autorità di pubblica sicurezza ai sensi della vigente normativa nel periodo compreso dal 1° gennaio 2012 alla data di entrata in vigore del presente decreto sono riconosciute come armi comuni da sparo.”.
La norma proposta di per sé non dice nulla di sbagliato, ma non si preoccupa affatto di che cosa succede quando il Banco di prova rifiuta di far passare un’arma. Poi non si preoccupa dei rapporti fra licenza di importazione e valutazioni del Banco di prova: con una norma così sarebbe accaduto che il cittadino avrebbe richiesto la licenza di importazione di un’arma, la questura l’avrebbe rilasciata con la clausola “salvo il giudizio del Banco di Prova” e l’importatore si sarebbe potuto trovare con un container di armi già pagate e da rimandare al mittente! Disposizione ottima per tutelare i produttori italiani, ma non per i produttori esteri che vogliono vendere in Italia; con perfetta violazione dei trattati europei! Inoltre la norma non si poneva il problema delle armi già regolarmente bancate e sicuramente comuni, obbligate a passare per il Banco di Gardone VT, con un aggravio di costi sicuramente protezionistico e illegittimo. Ed ancora: se si attribuiscono dei compiti al Banco di Prova occorre anche decidere chi ne paga i costi; imporre un balzello per i controllo delle armi, sarebbe stato utile per finanziare il Banco di prova, ma in perfetto contrasto con la normativa europea la quale, tra l’altro, la movimentazione di armi in ambito comunitario non la considera una esportazione, ma solo un trasferimento. Infine non ci si può esimere dallo stabilire poteri e responsabilità del Banco, natura giuridica dei suoi provvedimenti e tutela dei cittadini, rapporti fra valutazione del Banco e reati in materia di armi (se il Banco fa passare per comune un’arma da guerra chi ne risponde penalmente? Il Banco, il cittadino, entrambi?).
Di fronte alla inadeguatezza dei testi proposti ufficialmente, il Governo ha deciso che era meglio non scrivere nulla piuttosto che fare delle norme sbagliate e ha deciso di non trattare l’argomento in questo decreto; visto che emana un decreto alla settimana, non mancherà l’opportunità di regolare la materia in un prossimo decreto.
La mancanza di una norma specifica non sarebbe tragica se le questure non fossero piene di ignoranti in materia di diritto delle armi, i quali affogano in ogni bicchier d’acqua e pretendono di ragionare senza sapere di che cosa stanno parlando; il che forse non succederebbe se fosse chiaro che il questore non può scaricare le responsabilità sui suoi aiutanti, ma se le deve assumere in proprio.
Tolto il dannoso catalogo, è chiaro che si ritorna alla situazione anteriore ad esso, quando l’esportazione ed importazione delle armi funzionava benissimo; ma al ministero vi erano ben altre teste, come Parisi e Ferrante, autori della legge 110/1975; certo, se non si fossero inventati il catalogo e la Commissione, il giudizio sulle loro teste sarebbe ancora migliore!
Quindi la procedura da seguire era ed è la seguente:
- Il produttore di un’arma la deve far bancare; non ci vuole nessuna nuova legge perché il Banco, se pensa che sia un’arma da guerra, segnali il fatto alla questura dove ha sede la ditta, per i necessari controlli e provvedimenti; la questura decide e il provvedimento è impugnabile con ricorso gerarchico e amministrativo e con ricorso in autotutela (quello che consente poi di chiedere i danni al funzionario che fa una cavolata). Sia chiaro che per le norme vigenti il questore deve provvedere entro trenta giorni e se non provvede è responsabile per i danni (se in Italia si applicassero tutte le norme e non solo quelle che fanno comodo, ci sarebbero meno problemi!). Quindi può esportare le armi con le dovute licenze perché se è bancata vuol dire che è comune.
- L’esportatore di armi deve richiedere la licenza di esportazione al questore e, se gli chiede la licenza, è implicito che l’arma è comune (non c’è bisogno che faccia inutili autocertificazioni, anche perché se si scopre che detiene armi da guerra finisce dritto in galera). Se il Questore ha dei dubbi, si informa e poi procede come sopra.
- L’importatore di armi deve richiedere la licenza di importazione ed è implicito che la può richiedere solo se si tratta di armi comuni. Il questore in questa fase deve già stabilire se le armi sono importabili perché non è concepibile che una ditta o un privato comperino un’arma e se la facciano spedire senza sapere quale sarà poi la sua sorte. Siccome il questore deve applicare la legge e non le scemenze della Commissione (come detto anche nell’articolo eliminato dal decreto), ha il dovere di saperla applicare o di cambiare mestiere. Anche in questo caso la responsabilità del provvedimento non può che essere della questura; il Banco eventualmente può essere interpellato solo per pareri non vincolanti.
- Le armi così importate, se munite dei prescritti segni identificativi e del marchio di un Banco di prova riconosciuto (che non è un segno identificativo!) sono soggette a controllo doganale; se la dogana ha dei dubbi seri, deve interpellare la questura che ha rilasciato la licenza di importazione e che dovrà decidere che cosa fare. Le armi prive di bancatura riconosciuta dovranno passare dal Banco di prova.
- Applicare la legge è una cosa priva di problemi per il 999 per mille delle armi (come dimostrato dal catalogo, che proprio per tale motivo era inutile) e che si presenta solo per armi di nuova concezione. Ed invero:
- tutte le armi già detenute legalmente in Italia sono armi comuni.
- da queste armi, ora che sono state eliminare le scemenze inventate per il catalogo, è facile dedurre i criteri che fanno distinguere un’arma comune da un’arma da guerra: sono comuni tutte le armi a canna liscia, tute le armi ripetizione manuale, tutti i revolver, tutte le pistole semiautomatiche (salvo quelle in cal. 9 para, non da guerra ma soggette al regine dell’armento di polizia); sono da guerra le armi automatiche, quelle in calibro superiore al cal. 50 e poche altre.
Mi si chiederà: ma come fa il questore a sapere se un tipo di arma è già legalmente detenuto? Beh, io penso che se da 50 anni si procede ad acquisire il modulo rilevazione armi , il Ministero una certa banca dati se la deve essere fatta … oppure ha solo ammucchiato foglietti di carta in un magazzino? Questa banca dati esiste o sono 50 anni che gli uffici lavorano a vuoto? Ma il problema è ampiamente superato per il fatto che art. 4 della Direttiva Europea Direttiva CEE 18 giugno 1991 n. 477, modificata dalla direttiva CEE 21 maggio 2008 n. 2008/51/CE, impone di creare l’archivio digitale delle armi detenute in Italia e dei relativi detentori; è vero che il ministero ha furbescamente fatto finta di ignorare la disposizione e non l’ha regolamentata con il D.to L.vo 26 ottobre 2010 n. 204, ma l’obbligo rimane e va adempiuto rapidamente, sempre se non vogliamo fare le solite fighine mescure con l’Europa. Certo è che se continuano a prentende che per ogni arma vengano indicati dati perfettamente inutili, come quello della lunghezza della canna misurata al millimetro, dei grilletti, dei mirini, o informazioni tecniche che il normale detentore non conosce o non sa esprimere, la banca dati non sarà pronta neppure fra dieci anni.
Rimane aperto il problema delle armi sportive che, sul piano legislativo, può essere risolto in vari modi: o abolendo proprio questa ridicola categoria, ignota al resto del mondo e inventata solo come furbata italica. Basta scrivere (è solo un esempio, non una proposta) che fuori collezione possono detenersi un numero illimitato di armi lunghe a canna liscia, ad aria compressa o in calibro 22, di armi lunghe a canna rigata a ripetizione manuale o semiautomatiche a non più di due colpi, di lanciarazzi + tot armi corte in cal. 22 + tot pistole in calibri a percussione centrale + tot armi lunghe di altro tipo e il problema è risolto. Ovviamente va chiarito che il divieto di porto per caccia o difesa di armi sportive non è mai stato voluto dal legislatore.
Nel frattempo il Ministero potrebbe con semplice circolare stabilire che la natura di arma sportiva viene stabilita in base ai criteri finora seguiti dalla Commissione e sulla base di dichiarazione dei produttori ed importatori (non ovviamente dei singoli detentori); i criteri sono elementari e basta elencarli in via orientativa e nel 999 per mille dei casi non vi sono problemi ad applicarli.
Mi si chiederà: ma perché allora lavorare tanto per modifiche legislative quando se ne può fare a meno?
La risposta è sempre la solita: il degrado culturale della burocrazia italiana non basata sul merito, ma sulle raccomandazioni. A dirigere gli uffici non va chi è più capace, ma chi sa far carriera o perché è raccomandato o perché è sindacalista o perché va a letto con le persone che contano; come dire che la carriera nella burocrazia è eguale alla carriera in politica. È il segreto di Pulcinella, ad esempio, che al ministero dell’Interno è difficile ottenere posti importanti se non si è campani e che al ministero della Giustizia (almeno fino ad un decennio fa) era necessario parlare con accento siculo. E si sa che all’ufficio armi ed esplosivi del ministero ci si va solo se comandati e per il minor tempo possibile perché purtroppo è un posto in cui un pochino bisogna studiare!
Molti governi non si sono resi conto che la loro rovina era di non trovare un valido appoggio nella burocrazia: chiedono quanti sono gli esodati e ricevono dati sbagliati, chiedono quanto costano gli onorevoli o il personale del Parlamento e nessuno sa o vuole rispondere, chiedono se con il braccialetto elettronico per i detenuti si risparmia e gli rispondono che non è vero (strano, nel resto del modo si riparmia l’80% !), chiedono di fare un modesto articolo per regolare il dopo catalogo e gli arriva sul tavolo un aborto di norma, e tutti potremmo continuare per pagine e pagine.
In conclusione: il problema non è la legge, ma che negli uffici delle questure e delle dogane si eliminino tutti quei commissari Cacace presuntuosi e convinti di aver diritto allo stipendio solo perché lo Stato li ha assunti; che al ministero vi siano dirigenti con palle e cervello al posto giusto (lo scambio di posizione è purtroppo usuale); che chi opera nel settore delle armi capisca che è necessaria una continua consultazione con gli esperti del settore i quali non sempre sono nella PS o nelle associazioni di categoria. Personalmente di idee negli ultimi quarant’anni ne ho lanciate tante, ma ho sempre richiesto la collaborazione di tutti gli interessati perché i trabocchetti di una norma possono essere imprevedibili e infiniti.