La 'chiusura labile' si trova specialmente nelle armi corte da disesa, ma anche nelle carabine di modesto calibro come le 22 LR e quelle calibro 8 e 9 Flobert.
LA CHIUSURA LABILE
di Roberto Allara e Roberto Palamà
Supponiamo di avere una canna, diciamo in calibro .22, serrata in una morsa. Introduciamo una cartuccia in camera, e con una fionda scagliamo un percussore con forza sufficiente per far detonare l’innesco. Che cosa credete che succederebbe?
Ebbene, la pressione sviluppata dai gas di combustione della polvere si eserciterebbe in tutte le direzioni, ma troverebbe via libera solo lungo l’asse della canna, nei due versi opposti, per cui agirebbe sul bossolo e sul proiettile contemporaneamente. Quindi il proiettile percorrerebbe il brevissimo tratto dello head space, fermandosi contro l’inizio della rigatura, ed il bossolo verrebbe sparato con un certo vigore. Visto così, non sembra un risultato desiderabile. Supponiamo ora di fissare un percussore ad un ferro da stiro, e di accostarlo ad una nuova cartuccia con una certa forza, sufficiente per la percussione. La pressione si eserciterebbe ed agirebbe nello stesso modo visto sopra, ma il ferro da stiro rinculerebbe di una quantità trascurabile, ed il proiettile verrebbe espulso con decisione dalla canna. Il peso del ferro da stiro realizzerebbe l’otturazione della camera di scoppio, e i gas in pressione si espanderebbero lungo la linea di minor resistenza, cioè secondo l’asse della canna, agendo sul proiettile. Questo tipo di chiusura, che non ha un vincolo meccanico tra canna e otturatore, è noto come chiusura labile, o inerziale, in inglese blowback. Il motivo della denominazione blowback è presto spiegato. La prima arma a presentare questo tipo di chiusura è la pistola Maxim-Silvermann, brevettata in Gran Bretagna il 28 dicembre 1896. Tutto fa pensare che l’arma fosse opera del solo Silvermann, visto che Hiram Maxim nella sua autobiografia non vi fa cenno, così come non fa cenno ad alcun altro progetto sviluppato con Silvermann. L’arma non superò lo stadio di prototipo, e non è più fotografabile dopo la dispersione della collezione Visser. Il design, per quanto se ne può giudicare dalle foto superstiti, era attualissimo; l’arma era ergonomica e filante, l’impugnatura aveva la stessa inclinazione di quella che avrà poi la pistola Parabellum. Gli esemplari di Visser erano camerati per il 7,65 Borchardt, per la cartuccia 8 mm Schömberger e per il .455 Webley, e non vi è motivo di pensare che siano esistiti altri esemplari camerati per calibri diversi. In considerazione del calibro vigoroso, ai lati della camera di scoppio erano praticati due fori. Da essi sfuggiva una parte dei gas di sparo. Questo riduceva la pressione interna e pertanto diminuiva l’energia del proiettile, ma evitava anche che il leggero otturatore venisse proiettato troppo violentemente all’indietro. Non sono rimaste descrizioni delle prove a fuoco, ma certo dai fori doveva sfuggire una vigorosa e sgradevole vampata: la pistola “soffiava da dietro”. Guarda caso, è la traduzione letterale del termine blowback.
Naturalmente tutte le armi a chiusura labile, sia pure in misura ridotta, soffiano da dietro. In un’arma a chiusura stabile la tenuta dei gas in culatta è data non solo dalla esatta lavorazione delle parti, ma soprattutto dall’espansione del bossolo che aderisce alle pareti della camera di scoppio. In un’arma a chiusura labile questo non avviene: il bossolo inizia a rinculare, spingendo l’otturatore, durante il barrel time. Quindi la tenuta non è ermetica, ed una parte dei gas di combustione sfugge intorno al bossolo dalla parte posteriore della canna con il caratteristico soffio di culatta.
Possiamo calcolare esattamente lo spostamento che origina questo soffio. La definizione di chiusura labile fa riferimento, oltre che alla mancanza di vincolo meccanico, allo scorrimento del piano di culatta durante la fase di sparo. Il sistema si basa sul terzo principio della dinamica nella meccanica newtoniana, ossia sul principio di azione e reazione. Due oggetti assimilabili a corpi puntiformi, il proiettile e l’otturatore, sottoposti all’azione della stessa forza, si muovono contemporaneamente, con una velocità inversamente proporzionale alle rispettive masse. La risultante equazione di conservazione della quantità di moto è Mv=mV.
Prendiamo ora l’esempio di una pistola calibro 7,65 Browning. Diamo come ipotesi semplificativa che le molle siano assenti al momento dello sparo, e che gli attriti del carrello e l’assistenza in chiusura data dal dispositivo di percussione abbattuto si trascurino. Consideriamo una pistola con le seguenti caratteristiche:
· lunghezza della canna: 91 millimetri
· peso del carrello: 250 grammi-peso
· velocità del proiettile alla bocca: 280 m/sec.
· Peso del proiettile: 77 grani, pari a 4,989 grammi-peso
La velocità media in canna sarà circa pari alla somma delle velocità minima e massima divisa per due, quindi a (0+280)/2 = 140 m/sec. La canna da 91 millimetri sarà quindi percorsa dal proiettile in (140/0,091) = 1/1538 di secondo.
Possiamo valutare la velocità acquisita dal carrello nello stesso tempo, ed il suo percorso, applicando l’equazione di moto descritta. Avremo quindi, con i dati in questione, mp.Vp=Mc.vc, dove mp è la massa del proiettile, Vp la sua velocità, Mc la massa del carrello. Quindi avremo (4,989 .140) = (250 . vc ).
La velocità del carrello vc sarà pari, in questo caso, a (4,989.140) / 250, cioè a 2,794 m/sec. Questo vuol dire che nel tempo di 1/1538 di secondo il carrello arretrerà di 1,816 millimetri.
Il bossolo, che ha spinto il carrello all’indietro, sarà anch’esso arretrato della stessa quantità, ed esporrà la sua parte terminale. Questo assunto teorico è confermato dalla fotografia ultrarapida. Non possiamo eseguirne una serie per questo articolo – ci vogliono molti milioni – ma sia al Banco di Prova che alla Beretta ne esistono, e fotografano il proiettile che si affaccia alla bocca dell’arma e il carrello arretrato in misura visibile.
Ora, se proviamo ad esaminare la sezione di un bossolo in calibro 7,65 troveremo che ad una distanza di 1,9 millimetri dal fondello le pareti sono ancora sufficientemente robuste per reggere la pressione dei gas, e pertanto un’arma con le caratteristiche descritte può essere usata senza danno. Tra l’altro, esaminando la sezione longitudinale di un bossolo, è facile stabilire se quella cartuccia sia stata pensata per un’arma a chiusura labile o a chiusura geometrica. Nel primo caso il bossolo è convenientemente ispessito nella sua parte inferiore, nel secondo le pareti sono di spessore costante, perché la tenuta alla pressione è garantita dalle pareti della canna nella zona della camera di scoppio. Il risparmio di materiale è minimo, ma per molte centinaia di milioni di bossoli ha la sua importanza.
E’ chiaro che il calcolo descritto più sopra può essere usato per determinare a priori quale massa debba avere un carrello in funzione della lunghezza della canna e del tipo di munizione che si vuole impiegare, anche se crediamo che più che i calcoli, nella progettazione di una nuova arma, sovvengano la sperimentazione e l’esperienza. Almeno non ci consta che qualche produttore, tra quelli a noi noti, abbia effettuato calcoli complessi per progettare l’otturatore di un’arma a chiusura labile.
Parliamo di calcoli complessi perché l’ipotesi che abbiamo esposto è estremamente semplificata. Alla massa del carrello va aggiunta quella della molla di recupero, il momento d’inerzia del cane e gli attriti non sono ininfluenti, le molle premono sull’otturatore con una certa forza assistendone la chiusura.
Il carrello ha un’inerzia che, data costante la massa, è massima al momento della massima accelerazione, che avviene al momento dello sparo. Quindi il contrasto alla corsa retrograda del bossolo è massimo proprio durante il barrel time, cioè quando ci interessa. L’inerzia dell’otturatore diminuisce poi durante la sua corsa retrograda, proporzionalmente all’accelerazione. L’influenza della molla invece si presta ad essere esaminata con un certo interesse. In un calcolo non di prima approssimazione bisognerà tener conto anche dell’inerzia delle molle e del momento d’inerzia del cane. La molla inoltre sposta il suo baricentro di una misura pari alla metà del suo accorciamento.
Benchè non vi siano limiti teorici all’applicabilità della chiusura labile a un’arma – con una massa sufficiente si potrebbe realizzare un cannone blowback – il limite reale è nella potenza della munizione. Per la verità si dovrebbe parlare di energia, di cui la potenza è una derivata rispetto al tempo. Essa non deve richiedere una massa tale da non essere compatibile con la portabilità e l’ergonomia. Basterà pensare all’otturatore di un Thompson, per il calibro .45 ACP, o di una pistola mitragliatrice in 9 para, per avere chiaro il concetto. Inoltre una consistente massa traslante, anche se la traslazione avvenisse sullo stesso asse della canna, sposterà comunque il baricentro dell’arma, e questo incrementa significativamente la dispersione del tiro. Anche le soluzioni più moderne, dall’otturatore su due piani dello sfortunato “San Luigi”, il Franchi LF 57, alle masse telescopiche collaudate con la MP 38 e giunte fino ai giorni nostri, non sono compatibili con un’arma per difesa individuale.
La soluzione consistente in una forte assistenza alla chiusura fornita dalla molla di recupero e da quella del cane non è nuova: fu applicata per la prima volta nella Campo-Giro, ma presenta i suoi inconvenienti. Infatti per usare l’arma bisogna armare il cane e introdurre il colpo in canna, cosa che può essere molto difficile se le molle sono troppo potenti, e che certamente è molto faticosa nella pistola del conte di Campo-Giro. E’ anche sconsigliabile, oltre certi limiti, l’utilizzo della forza delle molle per alleggerire il carrello. Se una massa metallica rimane invariata, e può avere solo trascurabili variazioni ponderali dovute alla gravità locale, una molla può essere soggetta a snervamenti e a rotture, ed avrà sicuramente delle variazioni nel tempo. Se una rottura si verifica durante l’utilizzo della pistola blowback calcolata più sopra, l’otturazione e la sicurezza dell’utente sono sicuramente realizzate, ma se la massa del carrello fosse ridotta, per esempio a 50 grammi, in caso di rottura della molla l’arretramento del carrello durante il barrel time sarebbe di ben 9 millimetri con analoga esposizione del bossolo ed esplosione dello stesso.
La condizione non di equilibrio statico, ma di equilibrio dinamico, si realizza quando la somma delle forze agenti è uguale a zero. In questo caso, alle forze di rinculo agenti si contrappone la forza d’inerzia. La chiusura quindi non può essere realizzata dalla sola molla, se non in casi ben determinati, tali da non consentire l’automatismo del funzionamento. La sola molla infatti non ha peso sufficiente, e la sua inerzia è minima. Se la forza della molla, ad esempio, fosse di dieci chili, per quanto la si volesse comprimere velocemente essa rimarrebbe invariata sempre a dieci chili. L’inerzia dovuta all’accelerazione, essendo proporzionale alla massa, sarebbe assolutamente trascurabile. Una massa, per contro, ha una sua inerzia che non è fissa, ma è tanto maggiore quanto è maggiore l’accelerazione che le si imprime.
La chiusura labile è stata impiegata in molte armi. Tra le armi lunghe ricordiamo l’intramontabile carabinetta Browning in calibro .22, tra le corte le pistole Browning mod. 1900, Colt 1903, CZ P27, Walther PP e PPK, Beretta M34, Sauer H38, fino alla sovietica Makarov. L’elenco termina qui, anche se le armi a chiusura labile sono innumerevoli, perché abbiamo segnalato i progetti migliori, quelli che a nostro avviso, nonostante i progressi realizzati nei materiali e nelle lavorazioni meccaniche, restano insuperati. Abbiamo incluso la Browning 1900, ad onta della complessità costruttiva, perché comunque è stata la prima pistola semiautomatica della seconda generazione. La terza generazione, il cui capostipite è la Colt 1911, non vedrà la luce che parecchi anni dopo. Restano comunque insuperate per semplicità la Maxim Silvermann e la Beretta M34. La prima si compone di sole quattro parti combinatesi con una molla e tre spine, più il grilletto con la sua molla, l’estrattore, il controcane, la canna e il caricatore. La complessità costruttiva, per l’epoca, era comunque notevole: ma oggi con le moderne macchine a controllo numerico potrebbe essere prodotta a costi più che ragionevoli. Quanto alla seconda, è composta di pochissime parti, ciascuna più robusta di quanto sarebbe necessario. Il sistema di disconnessione, realizzato con un’appendice verticale della barra di scatto, è rustico e semplicissimo, e l’arma ha dimostrato negli ultimi 60 anni tutta la sua affidabilità, al punto che le riviste americane ancor oggi ne parlano quando devono esaminare le più diffuse armi corte semiautomatiche per difesa personale.
Una nota per i ricaricatori: se la ricarica richiede sempre un attento esame del bossolo, per individuare eventuali crepe o cedimenti, questo esame è ancor più importante per bossoli destinati alla ricarica di munizioni da impiegarsi in armi a chiusura labile. Il contenimento della pressione dei gas essendo deputato alla porzione terminale del bossolo, un cedimento strutturale in questa parte, che sarebbe irrilevante in un revolver, potrebbe avere, in arma semiautomatica, effetti decisamente sgradevoli.