I BIZANTINI

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I BIZANTINI

Messaggio da leggereda Bruno Biscuso » mer 20 dic 2017, 17:26

il 19 3 2005 questo articolo è stato pubblicato da
il riformista

LA DOTTRINA DELL'ESERCITO "LEGGERO" E I SUOI ERRORI
Che cosa Rumsfeld deve imparare dai bizantini

nicola zotti

Bisanzio è stata sottoposta a continue aggressioni, a forze centrifughe e costretta a riconquistare territori perduti ad opera dei più voraci popoli di quel tempo.

Se l'impero bizantino fu così longevo, il merito va ricercato innanzitutto nella propria superiorità militare sui suoi nemici.

Una superiorità dovuta all'eccezionalità della cultura bizantina e all'attitudine al pensiero speculativo: alla capacità di analizzare se stessi, i propri nemici e le caratteristiche geofisiche del combattimento in base alla quale forgiarono il proprio sistema militare.

Il risultato di queste analisi furono tre trattati di concezione sorprendentemente moderna ed attualissimi, se non nei contenuti, certo nell'impostazione: Lo Strategikon dell'imperatore Maurizio (scritto nel 580), la Taktika di Leone VI il Saggio (900), e i trattati Sylloge tacticorum e Precepta di Niceforo Foca (980).

Tre imperatori firmano queste opere non solo in quanto esperti della materia, ma soprattutto perché quel pensiero rappresentava il culmine di un intero apparato statuale, al pari, ad esempio, della stessa riforma giuridica di Leone il Saggio.

Un apparato tanto ingombrante quanto necessario per la produzione di un sistema dottrinario di quel livello.

La struttura amministrativa e burocratica imperiale, correttamente dimensionata inizialmente, ma con l'andare del tempo -- e con il progressivo corrodersi dell'Impero -- sempre più sovradimensionata, sottraeva risorse agli impieghi militari ma era anche la condizione necessaria per avere la capacità di elaborare una dottrina così sofisticata e soprattutto per poterla gestire nel tempo e su un territorio così vasto.

Questo sistema produceva un esercito di dimensioni ridotte, ma eccezionale per competenza e abilità dei suoi capi, disciplina, organizzazione, spirito di corpo, armamento e metodologie tattiche, frutto della tradizione romana ma anche risultato autonomo e creativo della capacità speculativa e organizzativa dei bizantini.

Un esercito fortemente (anche troppo) subordinato al potere centrale e soggetto alle restrizioni che esso imponeva, ma al contempo coadiuvato da un altrettanto abile ed organizzato sistema informativo e da un esperto e attivissimo corpo diplomatico.

La strategia imperiale utilizzava con grande sagacia gli elementi di questo sistema di governo e controllo dei conflitti.

Un esercito leggero, infatti, non può fare a meno della diplomazia e della conoscenza del nemico: se da un lato le sue ridotte dimensioni ne aumentano la mobilità strategica, riducendone al minimo le necessità logistiche, dall'altro ne fanno uno strumento prezioso e da impiegare in battaglia con estrema parsimonia, incapace di operazioni prolungate, di lunghe occupazioni territoriali, di campagne di attrito.

La conoscenza del nemico, l'abilità diplomatica, la preparazione strategica, la sagacia dei comandanti e in primo luogo la lungimiranza e saggezza della guida politica, sono elementi essenziali affinché un esercito professionale di ridotte dimensioni possa dispiegare sul campo tutto il suo vantaggio qualitativo.

Frodi e inganni erano connaturati a questa dottrina operativa: se l'obiettivo è vincere con il minor numero di perdite e possibilmente senza nemmeno combattere, si deve padroneggiare la guerra psicologica, si deve saper dividere il nemico, abbattere il suo morale e distruggere la sua volontà di combattere con ogni mezzo.

Una dottrina tattica basata sulla superiorità intellettuale. Con un unico difetto: essere basata sulla superiorità intellettuale.

Un effetto indesiderato -- ma soprattutto neppure avvertito dai bizantini -- di questo apparato efficiente e sofisticato fu proprio il senso di superiorità che instillò col tempo.

L'intelligenza che spinge ad essere così attenti nell'analisi dei pregi e dei difetti propri e dell'avversario, nell'approfondire la conoscenza delle abitudini guerriere delle popolazioni nemiche per escogitare i migliori metodi per contrastarle, si può trasformare in un pericoloso narcisismo.

Quando ci si confronta con gli altri, è possibile anche rimanere affascinati da se stessi. Affascinati dalla nostra cultura e dalla raffinatezza del nostro pensiero, convinti -- a ragione o a torto -- della nostra superiorità, si viene spontaneamente portati ad inaridire la nostra capacità analitica, innamorati di noi stessi ed incapaci di vedere le nostre debolezze.

Questo accadde ai bizantini: nei trattati dei tre imperatori già si avverte un convinto senso di superiorità nei confronti delle popolazioni "barbare" che minacciavano l'impero.

Migliori erano i migliori: ma si rimane tali solo se non si tradisce il senso critico alla base di questo vantaggio qualitativo.

Quando nei bizantini la convinzione di essere superiori fece dimenticare i motivi profondi per cui lo erano diventati, si trasformò in superbia, portò a sottovalutare i pericoli, inaridì le coscienze e atrofizzò gradatamente fino a farlo scomparire il loro vantaggio strategico nei confronti degli avversari.

Questi ultimi impararono dalle proprie sconfitte e anche se non diventarono mai abili come i bizantini, riuscirono comunque a rappresentare un pericolo incontenibile.

Forse il Ministro della difesa americano Rumsfeld troverebbe nella lettura dei classici della strategia bizantina e nella storia dell'Impero bizantino più di qualche spunto di riflessione.
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Re: I BIZANTINI

Messaggio da leggereda piero » mer 20 dic 2017, 17:51

Da dove hai tirato fuori questo attualissimo trattato? Hai ragione da vendere sul pensiero che l'uomo non deve innamorarsi di se stesso, altrimenti rischia di non vedere null'altro che il suo ego, portandolo a non considerare gli altri e a rimanere solo con le sue convinzioni.
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