NOTE SUL RESTAURO dei LEGNI

Il laboratorio dell'artigiano Armaiolo Restauratore che spazia dal trattamento originale dei legni al ripristino delle meccaniche usurate fino ai processi di finitura protettivi ed estetici di bascule e canne.

NOTE SUL RESTAURO dei LEGNI

Messaggio da leggereda Bruno Biscuso » ven 6 apr 2012, 22:22

Interessante lettura sui protocolli del restauro.

Liceo Artistico Crema -Ricerca di Michela, Sheila e Anna -classe IVB

NOTE SUL RESTAURO

Introduzione

Il concetto di restauro

Tipi di restauro

Gli interventi

pulitura

patina

riparazioni strutturali

interventi estetici

lucidatura

PRIMA FASE: "ingrassatura" o "telettatura".

SECONDA FASE: "chiusura dei pori".

TERZA FASE: "assecondamento".

QUARTA FASE: "finitura" o "brillantatura".

RICETTARIO, TECNICHE E MATERIALI PER IL RESTAURO DEL LEGNO Albalingiardi (Milano,1996)

INTRODUZIONE

Prima di affrontare qualsiasi intervento di restauro è opportuno porre alcune premesse che si riferiscono al tipo di operazione da eseguire.

Il restauro del mobile non deve snaturare l'oggetto, né operare azzardate integrazioni che rischiano di snaturare l'originale funzione: esempio mobili in stile eclettico verniciati di bianco o inginocchiatoi trasformati in scarpiere.

Il restauro si deve limitare al recupero della funzione originaria e deve tenere nella dovuta considerazione il valore artistico e culturale dell'oggetto.

Questo è uno dei punti più controversi e delicati di questa attività: restaurare significa recuperare e non “ aggiustare”

IL CONCETTO DI RESTAURO

Il restauro è un intervento di ripristino di un'opera preesistente ed è la rimozione delle cause del logorio e del deterioramento senza essere una ricostruzione di quello che è andato perduto, (spesso però la ricostruzione di parti è necessaria per la sua integrità e stabilità).

Le cause del deterioramento spesso non sono solo direttamente sul mobile, ma anche nell'ambiente dove andrà collocato l'oggetto. Il legno è materia viva, anche se vecchio da secoli e risente dell’eccesso di umidità ma anche dell'esposizione diretta ai raggi del sole e ciò lo si vede osservando la parte superiore più esposta all'uso.

Il legno è poi soggetto all'attacco di parassiti animali (tarli) e vegetali (muffe).

TIPI DI RESTAURO

il restauro museale, che considera il mobile un documento storico-artistico dell'epoca, non ammette nessuna ricostruzione, aggiunta o rimozione. Sono tuttavia consentiti interventi sulla struttura atti a garantire l'integrità e la staticità: restauri che devono essere ben visibili.
il restauro funzionale riporta il mobile in un ambito di arredamento, cioè da utilizzo e perciò prevede la sua totale integrità: consolidamento delle parti semidistrutte, rifacimento delle mancanti (almeno quelle essenziali), rimozione delle parti alterate o aggiunte dove possibile, recupero delle funzioni meccaniche (sportelli, cassetti...), ripresa della lucidatura conservando la patina.

Per il restauro ci si avvale sì delle tecniche esistenti al tempo del manufatto, ma è consentito l'utilizzo di metodologie moderne che non compromettano la natura del mobile, come: antiparassitari, colle viniliche (più elastiche), sverniciatori per rimuovere smalti o vernici non pertinenti.

Il restauro è un'operazione culturale , ma al giorno d'oggi, più di ieri, è anche un'operazione commerciale. E' facile trovarsi davanti a committenti che richiedono interventi opposti, c'è chi rispetta il mobile nella sua vetustà volendo interventi rispettosi, lasciando i segni del tempo, mentre altri pretendono un restauro radicale, volendo un oggetto nuovo, senza neanche un graffio.

Ogni volta è una scelta che dovrebbe essere guidata da perizie tecniche, storiche e artistiche, non condizionata economicamente e ricercata anche nel dialogo tra committente e restauratore.

Abbiamo parlato di restauro funzionale, parola che racchiude in sé due tipi di intervento: di ripristino e di rifacimento (ove rifacimento sta per sostituzione di parti irrecuperabili e/o mancanti dopo accurato studio).

Non sono restauri corretti altri tipi di intervento, volti ad abbellire il mobile, modificando le dimensioni e lo stile, per attribuirgli una diversa e più vantaggiosa datazione.

L'intervento dovrebbe essere quasi sempre accompagnato da un progetto scritto di restauro e da sequenze fotografiche del lavoro nelle sue varie fasi.

Studiare il manufatto, datandolo, leggendo le modalità costruttive, le decorazioni, le modifiche e i restauri apportati nel tempo, consultando libri; dopodiché, vedendo i problemi che presenta, fare una diagnosi e decidere l'intervento.

L'INTERVENTO SULL'OGGETTO DA RESTAURARE

L'intervento ha con sé sempre delle norme di attuazione:

IL RISPETTO PER L'OPERA
LA STABILITA' DEI MATERIALI E DELLE TECNICHE UTILIZZATE
LA REVERSIBILITA' DI MATERIALI E TECNICHE
IL MANTENIMENTO O IL RECUPERO DELLA LEGGIBILITA' DI UN'EPOCA (conservare al massimo gli elementi antichi)
NON VOLERE A TUTTI I COSTI UN RESTAURO INVISIBILE
NON COMPLETARE GLI ELEMENTI DISPERSI SE NON SI POSSIEDONO INFORMAZIONI SICURE
NON CERCARE DI MIGLIORARE ARTIFICIOSAMENTE L'ASPETTO DEL MOBILE
RISPETTARE LA FUNZIONE ORIGINARIA DEL MOBILE
RISPETTARE LA PATINA

Il lavoro del restauratore è in sostanza un'attività creativa, nel corso della quale si inventano soluzioni particolari e specifiche, che non necessariamente vanno definite fraudolente. Ogni mobile è un caso a parte e, di volta in volta, si dovrà discutere il tipo di intervento.

Se il mobile ne ha bisogno, avviene un'opera di disinfestazione con trattamenti specifici, usando antitarli in commercio.

Segue poi il consolidamento delle parti che riteniamo indebolite, quasi sempre per un attacco di xilofagi (tarli), a volte anche le parti terminali delle gambe subiscono un'usura forte, stando a contatto con il suolo.

Il consolidamento naturale più usato è colla animale diluita con acqua , detta colletta, ma si è osservato che, a lungo andare, questa attira i tarli e l'umidità dell'acqua può gonfiare il legno con pericolo di formare crepe in asciugatura e favorisce lo sviluppo delle muffe.

In commercio ora ci sono consolidanti chimici che hanno maggior efficacia, come il Paraloid, che si presenta in microcristalli che si sciolgono in solventi non acquosi .

Con quest'ultimo si evitano gli inconvenienti di cui sopra; è una resina acrilica, non altera il legno, non lascia colorazione, si fissa la legno dandogli robustezza.

In genere sono maggiormente atti all'usura legni teneri, come pioppo e abete, e le parti più esposte all'umidità (fondi, schienali, gambe).

PULITURA

Consiste nel rimuovere dal mobile lo sporco e strati di vernici vecchie che alterano lo stato dell'oggetto.

E' un momento delicato e importante, bisogna stare attenti a non intaccare la patina, per cui decidere accuratamente quale tipo di pulitura effettuare, perché l'intervento è irreversibile.

Per capire inizialmente come reagisce il mobile, fare delle prove, lavorando su piccole superfici in punti meno visibili.

In commercio esistono molti prodotti: il più usato è il cosiddetto decapante, sostanza gelatinosa da usarsi con prudenza, poco per volta, lasciata agire sulla superficie ed asportata poi con paglietta o cotone o spatola.

Viene usata anche l'ammoniaca diluita con acqua; occorre fare attenzione perché alcuni legni, come ad esempio il rovere a contatto con questa sostanza scuriscono.

Questo metodo viene utilizzato per la pulitura di mobili che non presentano vernici di copertura ma hanno una patina superficiale molto sporca.

Si può produrre poi in laboratorio un polish a base di olio paglierino, trementina e alcool (trementina e alcool in parti uguali con l'aggiunta di poche gocce di olio); occorre fare però attenzione perché scolla gli intarsi e rimuove la vernice, una volta applicato deve essere subito rimosso con uno straccio pulito.

LA PATINA

La patina è uno degli aspetti che maggiormente aiutano a caratterizzare il mobile e ad esprimere il suo esistere nel tempo.

La patina di un mobile si traduce in un mutamento cromatico dei pigmenti del legno, delle finiture, della lacca, della pittura, e di qualsiasi altro materiale applicato al mobile (oro, argento, osso, tartaruga......).

Il concetto di patina include tuttavia anche altri fenomeni, come l'imbarcatura di un ripiano, l'irregolarità degli intarsi, l'abrasione delle superfici, il logoramento di una modanatura.

Non si considera patina lo sporco accumulatosi sulla superficie. Lo studio dei possibili interventi da applicarsi alla patina non è solo visivo ma anche tattile.

RIPARAZIONI STRUTTURALI

Una buona base di falegnameria non fa male al restauratore, ma attenzione a non applicare le stesse metodologie al restauro del mobile: il falegname costruisce dal niente, il restauratore ha davanti a sé un manufatto già costruito, su cui deve intervenire arrecando meno danni possibili e lasciando tutto ciò che è parte del passato del mobile.

In un cassettone, ad esempio, una volta tolti i cassetti e tutte le applicazioni (maniglie, bocchette, serrature......), si parte dalla struttura: schiena, fondo, fianchi, piedi, piano.

Dopodiché si passa ai cassetti, alle loro guide, alle guide all'interno della struttura per garantire il loro scorrimento.

INTERVENTI ESTETICI

Successivamente ci si occupa degli interventi sulla parte estetica: se il nostro cassettone è impiallicciato o lastronato si verificherà lo stato del piallaccio e del lastrone, ripristinando i punti danneggiati; se è massiccio ed il legno presenta delle fenditure importanti si chiuderanno stando attenti ad usare del legno consono.

La fase successiva è la stuccatura: dopo aver dato con una teletta una leggera passata di gomma lacca molto diluita in alcool sulla superficie per impermeabilizzarla, preparato lo stucco con gesso bianco, terra colorata, acqua e colla animale (cercando di avvicinarsi il più possibile al colore del mobile) si passa a chiudere con apposite spatoline tutti i buchi che riteniamo di eliminare. Una volta asciugato lo stucco, si carteggia.

Si passa poi alla finitura della superficie, dando se richiesta, una coloritura con mordente ad acqua, terminando con la lucidatura vera e propria, tenendo presente che facilmente si dovrà stuccare altre varie volte.

LA LUCIDATURA

Decideremo il tipo di finitura del mobile secondo il suo stile. In mobili di alta epoca ('400, '500, '600), come nei mobili lastronati, è di rigore una lucidatura a cera. Troviamo una medesima lucidatura nei mobili rustici dell'800.In mobili intarsiati e impiallicciati è facile avere una lucidatura a tampone (cioè gomma lacca).Nel mobile massiccio troviamo più comunemente un mezzo-lucido, cioè una base di gomma lacca con una finitura a cera.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
Scott "Lavorare il legno" - ed. Zanichelli
"Enciclopedia degli stili" - ed. Mondadori
"Dizionario dell'antiquariato" - ed. Oscar Mondadori

LA LUCIDATURA A TAMPONE

PREPARAZIONE DELLA GOMMALACCA

La gommalacca si trova in commercio nei colorifici, sotto forma di scaglie. La più comune è quella di qualità "angelo" (di colore biondo bruno).

Se ne sciolgono circa 250/300 grammi in un litro di alcool a 94 gradi, a freddo, in un recipiente che è possibile chiudere ermeticamente.

Si lascia riposare questa miscela per almeno 12 ore, mescolando ogni tanto, per evitare la formazione di grumi. Successivamente si filtra il tutto con una garza o una calza, e si imbottiglia.

Questa preparazione costituisce la gommalacca "base", che si conserva così per lungo tempo senza deteriorarsi.

TECNICA DI LUCIDATURA A TAMPONE

Queste istruzioni valgono considerando di dover lucidare superfici portate a legno.

Le superfici da lucidare devono essere preparate con estrema precisione: sverniciate accuratamente, spolverate, passate con un panno lievemente imbevuto di alcool, affinchè ogni residuo della pulitura e della polvere siano tolti.

L'ambiente di lavoro deve essere pulito e privo il più possibile di polvere.
PRIMA FASE: "ingrassatura" o "telettatura".

Si imbeve nella gommalacca "base" opportunamente disposta in una vaschetta, una teletta di cotone o di lino (il tessuto deve essere molto morbido e quasi consumato). Si strizza lievemente la teletta in modo da non gocciolare, e successivamente si passa su tutte le superfici da lucidare, avendo cura di stenderla bene sia con movimenti circolari sia con movimenti lungo la venatura, senza lasciare grosse tracce, senza fare gocce o grumi. E' consigliabile alle persone più inesperte di usare una teletta più strizzata: il lavoro sarà più lungo, ma saranno minori i rischi.

Questa prima fase di ingrassatura serve a dare un fondo abbastanza ricco di gommalacca, su cui poter successivamente lavorare.

Non si può indicare a priori quante mani è necessario dare, perché questo dipende dalle diverse reazioni dei diversi tipi di legno, tendenzialmente sono necessarie due o tre mani, e l'effetto finale deve essere pieno e ben saturo.

Questa osservazione sulla diversa e personale reattività delle superfici di legno va tenuta presente anche per le successive fasi della lucidatura.
SECONDA FASE: "chiusura dei pori".

Si sparge sulla superficie che si vuole lucidare qualche pizzico di polvere di pomice e qualche goccia di olio paglierino. Poi si prende il tampone (piccolo quadrato di tela al cui interno si chiude un batuffolo di lana o di bambagia grezza) e si bagna bene la parte interna con alcool, si richiude il tampone in modo idoneo, e si strizza bene tutto in modo che non goccioli.

Il tampone va tenuto saldamente tra le dita, non deve "sbandierare" e la sua superficie deve essere quasi a filo con le punte delle dita. La parte interna ogni tanto va rigirata e districata.

Si comincia a passare il tampone sul piano, facendo ampi cerchi, con movimenti calmi e regolari, stando attenti a non ripassare immediatamente dove si è appena passati, in modo da lasciare all'alcool il tempo di evaporare. All'inizio non si premerà molto, perché il tampone, seppure strizzato, è ancora carico, e non si devono lasciare tracce. Poi, man mano che il tampone si asciuga, e che la pomice viene distribuita, si schiaccerà sempre di più, stringendo anche i cerchi dei vari passaggi. Durante questa operazione, si sente il tipico rumore un po' sabbioso della pomice che si stende, e a volte è necessario aggiungere sulla superficie esterna del tampone qualche altra goccia di olio, affinchè esso possa scorrere bene. Può anche essere necessario bagnare ("caricare") ancora l'interno del tampone con altro alcool.

Durante questa fase si possono creare delle zone di concentrazione della pomice, e perciò è necessario, fin dall'inizio, distribuirla molto bene e in minima quantità. Saranno i movimenti sempre pressanti del tampone, man mano che esso si scarica e che si può maggiormente premere, ad impastare e distribuire la pomice uniformemente sulla superficie, chiudendone i pori. La superficie su cui si sta lavorando apparirà inizialmente opaca ed impastata, e via via diverrà più liscia e piena.

E' molto importante non avere fretta di finire, perché se la pomice non è bene spinta nei pori, e ben lavorata, essa ricomparirà in superficie, anche a distanza di giorni, sotto forma di una antiestetica puntinatura.

E' inoltre importantissimo non lasciare mai il tampone fermo sul piano (rischio di "bruciature"), ed "entrare e uscire" dalla lucidatura con uno sfioramento rapido e delicato.

Questa "seconda fase" di lucidatura si ritiene conclusa quando, osservando la superficie, si vede che i pori sono chiusi. E' evidente che per arrivare a ciò possono essere necessarie più mani, sempre a seconda di come reagisce il legno.

A questo punto la lucidatura va sospesa per almeno 12 ore, in modo da potersi ben sedimentare (in modo cioè che i pori "bevano").

Trascorso questo tempo, si controllerà se i pori si sono nuovamente aperti, e in tal caso si procederà con altre mani di lucidatura con la pomice, utilizzando però non più alcool puro, ma gommalacca molto molto diluita.

Concludendo, la "seconda fase" della lucidatura non deve "fare strato", ma ha solo lo scopo di chiudere i pori usando come materiale abrasivo la pomice, come lubrificante l'olio paglierino, e come "sostanza" la gommalacca "base" messa con la prima fase di ingrassatura, che viene appunto sciolta ed impastata dall'alcool (o alla fine dalla gommalacca diluitissima) e dalla pressione del braccio.
TERZA FASE: "assecondamento".

Questa fase serve a dare una certa "pienezza" alla lucidatura: la vernice deve essere lavorata, amalgamata, premuta, spostata in ogni punto della superficie. Deve essere "tutt'uno" con il legno, non deve fare "strato" ma deve essere "nel" legno. Si deve avere molta pazienza.

Si utilizza nel tampone la gommalacca base, diluita con alcool in una proporzione di circa: 6 parti di gommalacca con 4 parti di alcool.

Anche in questo caso si fa scivolare il tampone aiutandosi, quando necessario, con alcune gocce di olio paglierino. Bisogna però stare attenti a non ungere troppo, poiché all'inizio la superficie sembrerà addirittura lucidissima, ma poi si formeranno alonature di olio difficili a mandarsi via.

Il tampone va fatto scorrere all'inizio con gesti ampi e circolari, senza premere troppo, e poi man mano che si scarica i cerchi si stringono e si preme maggiormente. Nelle mani finali il tampone va fatto scorrere anche con movimenti a otto, e lungo le venature.

Solitamente l'assecondamento consta di 4 o 5 mani, intendendo per mano un caricamento di tampone .

Interrompendosi a questo punto si ottiene una lucidatura "a mezzo" che può essere lasciata così, oppure può essere integrata a cera con un diverso effetto finale più morbido ed opaco.

A seconda della diluizione scelta per la gommalacca, e del numero di mani dato, e della reazione del legno, si otterranno lucidature più o meno piene, più o meno brillanti. E questo va scelto di volta in volta a seconda del mobile che si sta lucidando.

Potrebbe anche essere necessario usare ancora qualche piccolo pizzico di pomice, laddove appaiono zone di pori ancora aperti, specie nel caso si voglia ottenere un effetto finale di grande lucentezza.
QUARTA FASE: "finitura" o "brillantatura".

Si cambia il tampone, o meglio la teletta esterna, prendendo una stoffa di cotone o lino a trama più fine, mentre l'interno sarà il medesimo.

La gommalacca usata in questa ultima fase va diluita molto (più alcool che gommalacca) e diluita sempre più a mano a mano che il lavoro procede.

Il tampone va tenuto saldamente, e fatto scorrere con ampi movimenti circolari, oppure grandi otto, oppure lungo venatura, sempre badando a non ripassare sulle tracce appena fatte, in modo che l'alcool abbia ogni volta il tempo di evaporare.

Inizialmente l'alcool opacizzerà la superficie, ma procedendo con costanza e pazienza questo effetto scomparirà. Potrebbe essere necessario usare anche in questa fase pochissimo olio, che però andrà pazientemente completamente tolto.

La fase di finitura sarà ultimata quando sulle superfici ormai brillanti, il tampone, anche se premuto, ormai asciutto, non lascerà alcuna traccia.

Per dare un effetto ancora più brillante, "a specchio", si abbandoni il tampone e si prenda una tela di cotone o lino a trama fine, pulita.

La si ripieghi in quattro, si versi qualche goccia di alcool puro, e si passi la superficie lungo la venatura, con movimento rapidi e precisi.



RICETTARIO, TECNICHE E MATERIALI PER IL RESTAURO DEL LEGNO

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